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Rappresentazione visiva dell'articolo: Donazione indiretta: quando si applica l’imposta e quando è esente

Autore: Alessandro Caserta

Data di pubblicazione: 14 maggio 2024

Donazione indiretta: quando si applica l’imposta e quando è esente

di Matteo Tambalo, partner dello Studio Righini e Associati

 

La corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 7442 del 20 marzo 2024, si è espressa in punto di assoggettabilità a imposta di donazione delle donazioni indirette.

 

Come già sottolineato dai primi commentatori, la pronuncia ha avuto una immediata risonanza che le ha tuttavia conferito un significato, se non diverso, quantomeno più ampio di quello che la stessa nei fatti avesse. Si è in sostanza attribuito alla Suprema Corte più di quanto la stessa non abbia detto.

 

Il caso in esame sull’imposta di donazione

La sentenza della Cassazione riguarda una liberalità informale realizzata con trasferimento bancario di titoli e denaro “Svizzera su Svizzera” che viene ritenuta soggetta a imposta di donazione, con aliquota dell’8% senza poter beneficiare della franchigia, ai sensi dell’art. 56-bis del D.Lgs. 346/90, poiché la liberalità era stata dichiarata dal donante nell’istanza presentata in sede di voluntary disclosure.

 

La distanza della cassazione dalla posizione dell’agenzia delle entrate sull’imposta sulla successione e donazione

L’occasione per chiarire la portata dell’art. 56-bis è il dissenso manifestato nei confronti della posizione dell’Agenzia delle entrate diffusa con circolare n. 30/E/2015 (in sede di esegesi della disciplina relativa al rientro di capitali esteri) per cui l’imposta sulla successione e donazione si applicherebbe alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, oltre che alle “altre liberalità tra vivi” che si caratterizzano per l’assenza di un atto soggetto a registrazione.

 

La Cassazione non manca di definire tale opinione “imprecisa e incompleta” nel presupporre l’esistenza di un generale obbligo di registrazione sia delle donazioni risultanti da atti soggetti a registrazione sia delle liberalità derivanti da atti non soggetti a registrazione, perché non formati per iscritto; l’erario metterebbe quindi indebitamente insieme situazioni per cui la legge prevede una disciplina diversa.

 

La lettura dell’art. 56-bis sulle liberalità diverse dalle donazioni

Con l’introduzione dell’art. 56-bis nell’ambito del D.Lgs. n. 346/1990, il legislatore ha previsto una disciplina per le liberalità diverse dalle donazioni, ampio genus nel quale rientrano liberalità che ben possono fare a meno di atti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è richiesta la registrazione.

 

In definitiva, anche la donazione “informale” può rientrare nell’ambito di applicazione dell’imposta di donazione dal momento che l’inosservanza della forma pubblica, che produce conseguenze invalidanti sul piano civilistico, non produce effetti sul piano tributario.

 

Ebbene, ad avviso della Cassazione, l’art. 56-bis, comma 1, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento correlato a un impoverimento senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione, sono accertate e sottoposte a imposta (con l’aliquota dell’8% e se eccedenti le franchigie), anche in mancanza di un obbligo della registrazione se venga resa una dichiarazione circa la loro esistenza nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi.

 

La Corte ribadisce, in sostanza, che le liberalità indirette sono tassabili solo se sussistono i presupposti dell’art. 56-bis, vale a dire la registrazione volontaria (che segue le aliquote ordinarie) o la confessione circa l’esistenza dell’atto in sede di accertamento di altri tributi (con aliquota dell’8%).

 

La disciplina per le liberalità contenute in atti soggetti a registrazione

In questo contesto, l’affermazione più interessante della Cassazione riguarda le liberalità indirette contenute in atti soggetti a registrazione perché anche in questo caso non sussiste un obbligo di registrazione e applicazione dell’imposta di donazione, che parimenti soggiace ai limiti dell’art. 56-bis.

 

La Suprema Corte interpreta quindi l’art 56-bis in combinato con l’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990, concludendo nel senso che le donazioni informali e quelle indirette non risultanti da atti soggetti alla registrazione non sono sottoposte a tassazione. Le donazioni indirette risultanti da atti soggetti alla registrazione (ma diverse da quelle per cui vi è l’esonero da tassazione ai sensi dell’articolo 1, comma 4-bis) non vanno, invece, automaticamente assoggettate a imposta di donazione ma solo qualora venga ritenuto opportuno e conveniente dall’interessato.

 

Pronuncia innovativa o aderente al testo della norma?

C’è quindi da chiedersi se sia giustificata la risonanza della pronuncia in termini di esenzione da imposta sulle successioni e donazioni per le donazioni indirette, con particolare riferimento alle liberalità tra genitori e figli, in quanto mancherebbe un obbligo di registrazione. Non va al riguardo trascurato come la donazione tra parenti di primo grado abbia sempre beneficiato del conguaglio che di per sé perimetra le ipotesi di tassazione.

 

Piuttosto, da una attenta lettura della pronuncia della corte di Cassazione si evince come la stessa si limiti a una interpretazione letterale delle previsioni che regolano la tassazione delle donazioni indirette, avvalendosi anche del criterio sistematico alla luce dell’impianto generale delle norme in materia. Nulla di nuovo, verrebbe da dire, rispetto alla lettera della legge.

 

(Articolo scritto in collaborazione con Chiara Chirico, avvocato dello Studio Righini)

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